Gli etruschi, prima dei Romani, conobbero il segreto della costruzione dell'arco,
con cui si potevano fare porte cittadine, acquedotti ma soprattutto ponti. L'arte di costruire
ponti era sacra da cui il termine Pontifex, facitore di ponti, da cui l'attuale termine
cattolico Pontefice; se poi si trattava del mastro costruttore, si chiamò in epoca romana il
Pontifex Maximus, la massima carica sacerdotale pagana da cui abbiamo tratto il Sommo Pontefice.
Roma fu del resto costruita nell'unico punto in cui era possibile unire con un ponte (il Ponte
Sublicio) le due sponde del basso Tevere, un ponte facile da proteggere militarmente, e da qui
dominava tutto il traffico fra l'Etruria e l'Italia meridionale. L'arte di costruire i ponti fu
dunque etrusca ma ben presto divenne romana.
Ma solo quando l'Urbe riuscì ad avere il controllo della riva sinistra venne costruito questo
ponte, il primo della città, per volere di re Anco Marzio, appunto presso vicino il guado del
Tevere. Il Pons Sublicius (dal termine volsco sublica, tavola di legno) venne infatti eseguito
interamente in legno per poter essere facilmente demolito in caso di attacco nemico.
E' il più antico ponte di Roma, realizzato in legno al tempo di Tullio Ostillio (.. - 641 a.c.)
e terminato da Anco Marcio, (675 a.c. - 616 a.c.) secondo Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso.
Un'altra versione narra che venne eretto da popolazioni abitanti la sponda destra del Tevere
molti anni prima della presunta nascita di Roma, restaurato una prima volta da Ercole in persona
ed una seconda nel 614 a.c. sotto il regno di Anco Marzio.
La principale preoccupazione dei Romani nella scelta del luogo dove costruire il ponte fu
soprattutto di avere abbondante roccia a disposizione su cui fondare le spalle dei ponti ad
evitare che piene o alluvioni potessero danneggiarli.
Poi si prevedeva la temporanea deviazione del corso d’acqua tramite un sistema di palizzate e
dighe. Si procedeva, quindi, allo scavo per raggiungere il massiccio roccioso su cui fondare i
piloni del futuro ponte. Dopodiché si alzava una struttura lignea dotata di una sagoma
semicircolare; su di essa venivano appoggiati i conci, pietre squadrate con un opportuno taglio
trapezoidale.
Si utilizzavano delle gru dotate di paranchi a vari rinvii per posizionare le pietre sulla
centina di legno fino ad essere unite al centro dell’arco dalla cosiddetta “chiave di volta”, un
concio solitamente più grande degli altri. A volte, le pietre venivano legate fra loro con della
malta. Quando la centina di legno veniva rimossa, tutto il peso della struttura si scaricava sul
terreno consentendole di sopportare enormi carichi.
Secondariamente, i ponti non venivano edificati dagli schiavi, perchè alla fine risultava più
oneroso che non stipendiare liberi operai i quali non avevano bisogno di guardie per essere
costretti al lavoro.
Gli unici accidenti che potevano distruggere un ponte romano riguardavano assestamenti
imprevisti del terreno, terremoti o eventi bellici. La guerra, infatti, a volte, comportava la
necessità di distruggere un ponte onde tagliare la strada al nemico invasore.
I Romani per costruire un ponte innalzavano anzitutto le fondamenta su cui elevavano i
piedritti, la loro grandezza dipendeva dall’arco che doveva sostenere e dalla spinta dell’acqua
del fiume: più ampio era l’arco, più forte la spinta del fiume, più massicci dovevano essere i
piedritti.
Prima di costruire l’arco, sopra i piedritti veniva appoggiato un sopporto di legno, cioè la
centina, che serviva per appoggiare i conci, e che, alla fine della costruzione dell’arco,
veniva rimossa.
Ma ciò che gli ingegneri romani non dimenticavano era pure ciò che rappresentavano nelle loro
opere, e cioè Roma, che doveva quindi rappresentare il massimo della bravura, efficacia,
bellezza, forza e opulenza, insomma ciò che doveva stupire il mondo, e ci riuscirono in pieno.
Allievi degli Etruschi nell'arte pontificia, i Romani divennero in breve i più
grandi costruttori dell'antichità, prima per i ponti in Legno, di cui è storico il Ponte
Sublicio, del 621 a.c., il più antico ponte ligneo di Roma, eseguito in epoca monarchica.
"XVII. Cesare, per le ragioni che ho ricordato, aveva stabilito di attraversare il Reno; ma
giudicava che l'attraversamento con navi, oltre a non essere abbastanza sicuro, non si addiceva
al suo decoro personale né a quello del popolo romano. Pertanto, nonostante le grandi difficoltà
della costruzione di un ponte, considerata la larghezza, l'impetuosità e la profondità del
fiume, tuttavia riteneva di dover affrontare questa sfida, anche a costo di rinunciare a
trasferire l'esercito.
Concepì dunque il ponte in questo modo. Piedritti in legno dello spessore di un piede e mezzo,
un poco appuntiti all'estremità inferiore e di altezza adeguata alla profondità del fiume,
furono collegati a coppie tenendoli distanziati di due piedi. Questi, calati nel fiume con
appositi attrezzi, furono messi in posizione e infissi con battipali, non verticalmente come le
comuni palificate, ma inclinati secondo corrente; di fronte ad essi, quaranta piedi a valle,
furono disposte coppie di piedritti analoghe, ma inclinate contro corrente.
Tra le opposte coppie di piedritti, in sommità, furono posti in opera trasversi dello spessore
di due piedi, pari al distanziamento dei piedritti, e collegati a entrambe le estremità mediante
coppie di caviglie; con questi trasversi che le distanziavano e le collegavano
contemporaneamente, le strutture acquistavano una rigidezza e quanto più aumentava la spinta
della corrente tanto più i dispositivi di collegamento si serravano.
Queste strutture furono poi collegate con travi longitudinali, sulle quali fu steso un impalcato
di tavolame e graticci; inoltre altri pali obliqui furono infissi dal lato di valle, i quali,
con la loro funzione di puntello intelaiato con le altre strutture, contribuivano a sostenere la
spinta della corrente; altri pali ancora furono infissi poco a monte del ponte, a difesa da
eventuali tronchi d'albero o altri natanti gettati dai nemici, per attutirne l'impatto ed
evitare danni al ponte.
XVIII. Nel giro di dieci giorni dall'inizio dell'approvvigionamento dei materiali da costruzione
l'esercito potè passare sul ponte."
(Caio Giulio Cesare - De bello gallico - libro IV)
Ma sono i ponti cosiddetti 'misti', cioè in legno e pietra, che offrono gli
esempi più imponenti e straordinari di impalcature di legno del mondo romano. Ad esempio il
Ponte sul Reno a Magonza, con campate di legno a travata reticolare di tipo "a centina
poligonale a sbalzo", o il Ponte di Traiano sul Danubio, una meraviglia del genio romano, lungo
1135 m aveva 21 travate di legno con una luce di 32,56 m (ma di circa 50 m tra due interassi)
imitando archi policentrici, di tipo "ad arconi sovrapposti", che poggiavano su 20 pile di
muratura.
Ma ancor più strabiliante la sua copia quasi raddoppiata in lunghezza, ovvero il Ponte di
Costantino sul Danubio presso Sucidava, lungo ben 2437 m, il ponte più lungo mai costruito dai
Romani su un fiume. Questi ponti 'misti' presentavano una concezione e una messa in opera del
tutto moderna, soprattutto per la presenza di archi di legno a traliccio di tipo piuttosto
semplice, o per la messa in opera di grandi archi sovrapposti e assemblati tra loro da elementi
radiali.
Ma le esperienze tecniche e architettoniche più ardite e geniali realizzate dagli
architetti e dagli ingegneri romani si esplicarono soprattutto nei ponti in muratura. Durante la
repubblica infatti si cominciarono a sostituire le strutture lignee con quelle di pietra, come
nel Ponte Emilio, 142 a.c., detto anche Ponte Rotto. Così il ponte poteva permettere senza
rischio il passaggio dei carri con le provviste cibarie per città e villaggi, ma soprattutto dei
carri ad uso da guerra.
Tenendo conto che spesso man mano che i soldati avanzavano in territorio nemico costruendo le
strade, è evidente che le pietre del basolato dovevano essere trasportate sui carri, per non
parlare di tende e pali da accampamento. Con l'Impero romano i ponti in pietra ebbero un
grandioso sviluppo, perfezionandosi tecnicamente e architettonicamente. I più grandi architetti
romani nell'arte pontificia, in pietra e non, furono Caius Iulius Lacer e Apollodoro di Damasco.
Gli archi, sempre a tutto sesto, aumentarono la luce da 5/20 m fino a 40 m e oltre, vedi arcata
del ponte-viadotto di Narmi; i piloni vennero protetti da speroni per evitare che
l'accelerazione dell'acqua in prossimità dei passaggi corrodesse l'alveo creando sprofondamenti,
e talora esse furono anche alleggerite con aperture sopra il pelo dell'acqua (occhi da ponte)
per aumentare la superficie di deflusso durante le piene, vedi Ponte Milvio a Roma o Ponte di
Pietra a Verona.
Per le fondazioni, invece di deviare il corso del fiume come facevano prima, usarono l'impianto
dei pali, come fece Cesare nella costruzione del Ponte sul Reno, e dei cassoni realizzati in
luogo, riempiti di pietre o di calcestruzzo.
In quanto alla tecnica si usava anzitutto deviare il corso del fiume attraverso
canali e chiuse, di cui gli Etruschi avevano già la massima esperienza, quindi si scavava e si
ponevano fondamenta e pilastri. Su questo veniva poggiata un'incastellatura di legno ad arco, su
cui venivano poste le pietre già rastremate a scalpello.
Per ultimo si poneva il cuneo, la pietra rastremata più grande di tutte che veniva inserita al
centro esatto dell'arco, dopodiché l'incastellatura di legno poteva essere tolta e usata
altrove. Il cuneo diventava così la chiave di volta e il peso dei muri si scaricava lungo i
montanti permettendo all'arco di sopportare carichi enormi.
Quasi tutte le tecniche costruttive antiche sono state utilizzate nei ponti,
dalle mura, a seconda della forma delle pietre dette: ciclopiche, poligonali, trapezoidali,
all'opus quadratum, o opus incertum, quasi reticulatum, reticulatum, vittatum, testaceum, opus
caementicium, e l'opera a sacco come riempimento del nucleo.
Ma non solo le tecniche erano diverse, ma anche i materiali, che a loro volta condizionarono la
tecnica, le idee e i risultati.
Le fondazioni furono:
le fondazioni in acqua furono:
I piedritti dei ponti sono le pile, le spalle e le pile-spalle, tutte parti di sostegno che trasmettono alle fondazioni le spinte e i carichi generati dalla struttura: per evitare danni i piedritti sono spesso difesi da rostri: avambecchi o retrobecchi. La difesa e l'irrobustimento delle spalle erano ottenuti attraverso i muri di accompagnamento o attraverso i contrafforti a rinforzo dei muri di paramento delle spalle, con l'intento di contrastare efficacemente le spinte dell'arcata.
A seconda della forma della pianta i rostri sono:
I rostri salgono generalmente fino al livello di inizio dell'arco, ma possono
anche raggiungere
il parapetto.
Talvolta al posto dei rostri si posero:
In genere non si applicano rostri nei piedritti dei ponti-viadotti, come nel famoso Ponte-Viadotto di Nona, o nel Ponte-Viadotto di Augusto a Narni, o nel Ponte-Viadotto Ronaco a Sessa Aurunca, oppure nei ponti con intenso traffico fluviale, come, ad esempio, nei ponti posti sul fiume Aniene (Ponte Lucano, Ponte Mammolo, Ponte Salario, Ponte Nomentano), implicati in genere nel trasporto fluviale del travertino.
L’arco fu una grande conquista tecnica per i romani, essenziale per realizzare
non solo ponti, ma acquedotti, porte, archi di trionfo, teatri e ogni altro edificio pubblico.
L’arco si sostiene utilizzando solo forze di pressione fra i massi, mentre un monolite posto
orizzontalmente tra due pilastri è soggetto a forze compressive ed estensive verso il basso e,
non avendo sostegno al di sotto, tende a spaccare il blocco. Quindi l'arco è in grado di
sostenere pesi notevolmente superiori rispetto ad un architrave monolitico e può realizzare
varchi molto più ampi.
Nelle arcate le modalità delle volte sono diverse:
Per la loro messa in opera i Romani usarono differenti strutture:
Una volta tolte le centine dopo aver dato forma alle arcate, queste erano pronte a sostenere i timpani, cioè le parti di riempimento tra le arcate, e il piano di calpestìo. Si avevano così:
Per quanto riguarda poi il sesto dell'arco, ci sono:
Le arcate erano:
I ponti sono:
Riguardo alle funzioni:
A seconda del materiale si hanno archi in pietra da taglio, in mattoni, in muratura mista di mattoni e pietra da taglio, in getto di calcestruzzo semplice e armato, in ferro e in legno:
L’arco viene posto in opera utilizzando le cèntine, due strutture gemelle in
travi di legno che vadano a sagomare fedelmente la linea dell'intradosso (la superficie
inferiore dell'arco), utilizzando travi via via più piccole fino a creare una spezzata che
riproduca la circonferenza dell'intradosso; le due strutture vengono quindi collegate tra loro
da tavolette di legno che vanno a sagomare la superficie dell'intradosso, e sulle centine
vengono quindi poggiati i conci dell’arco.
Le centine venivano poggiate su degli speroni di travertino predisposti appena sotto la base
dell’arco, poi veniva rimossa la centina bloccata dal peso della struttura inserendo nel sistema
di sostegno della centina due cunei di legno sovrapposti in direzioni opposte in modo da
realizzare un parallelepipedo; i cunei vengono bloccati per non farli scivolare; al momento del
disarmo questi vengono fatti scivolare l'uno sull'altro aiutandosi con una mazza e liberando
così la centina dal peso dell'arco.
Occorre comunque effettuare il disarmo con attenzione ed in modo per quanto possibile graduale e
simmetrico, in quanto togliendo la centina i conci, che poggiano ancora in buona parte sulla
centina, e quindi verticalmente sul piedritto, si assesteranno definitivamente andando ad
esercitare completamente la spinta laterale sui piedritti.
I timpani, membrature di riempimento, e i muri di testa dei ponti, possono presentare sopra i piedritti 'occhi' o 'finestre' per aumentare il deflusso delle acque e lo scarico dei pesi:. Queste 'aperture' o 'vuoti di alleggerimento' erano rettangolari come nel Pont Ambroix o nel Ponte di Boisseron, o sormontati da un arco a tutto sesto come vediamo soprattutto a Roma e in Italia, o nel I sec. dell'impero in Francia (Pont-Julien presso Apt, Ponte di Sommières) e in Spagna (Ponte sulla Guadiana a Mérida, Ponte di Villa del Rio, Ponte di Luco de Jiloca).
Nel ponte di muratura ci sono poi le 'cornici di coronamento', in aggetto che
indicano il livello del piano di calpestìo (e pertanto della carreggiata), in molti casi facenti
parte dei marciapiedi, se non della carreggiata.
Questa è simile alla massicciata stradale che giunge o esce dal ponte, con una pendenza o due
contropendenze leggere, anche se abbiamo casi di ponti con il livello di calpestìo 'inflesso' o
'a catenaria', come nel Ponte Milvio a Roma o nel Ponte-Viadotto Ronaco a Suessa Aurunca.
La larghezza del piano di calpestìo dei ponti romani era in genere di 5 m, per permettere
l'incrocio di due veicoli carichi. In alcuni casi poi il piano di calpestìo presentava delle
'piazzuole di sosta o di smistamento' per i veicoli che si incrociavano.
Le cornici di coronamento sostengono quasi sempre i parapetti, che potevano essere:
I ponti romani, persero gradatamente l'austerità del periodo repubblicano per arricchirsi sempre
più in epoca imperiale con arredi di pietra, di ferro, di bronzo e di marmo. Il ferro costituiva
le grappe che fissavano i blocchi di pietra, o le statue ai parapetti e ai basamenti.
I parapetti di travertino, traforati e non, si ornarono di cornici elaborate, di basamenti per
statue, erme, are, colonne, piccole edicole, tempietti, colonnati, archi onorari all'entrata o
all'uscita del ponte, con bassorilievi celebrativi, imperiali o dinastici, con simboli sacri o a
carattere apotropaico e propiziatorio, oltre alle statue di imperatori, divinità o geni
tutelari, ai simboli di Roma, come la lupa, l'aquila ecc., il tutto in marmo scolpito o in
bronzo dorato, oltre alla targa commemorativa che riportava il committente, e talvolta anche
l'ingegnere, e la data della dedica o inaugurazione.
Un esempio di ciò è il ponte di Tiberio a Rimini, o ponte di Augusto, ormai in piedi da quasi
2000 anni e ancora in funzione piena, segno questo dell'incredibile perizia edile del popolo
romano. Il ponte, pur chiamandosi "di Tiberio", fu progettato ed iniziato dal suo predecessore
Augusto, a cui fu dedicato l'Arco detto appunto di Augusto che incorniciava l'inizio del
decumano massimo di Rimini, mentre il ponte ne segnava la fine.
Il ponte, privo di rostri, è formato da cinque arcate a tutto sesto in marmo istriano ed ha i
piloni decorati da quattro finestre cieche rettangolari incorniciate e sormontate da un timpano.
All'esterno del parapetto aveva un cornicione centinato, e sopra la parapetto alcuni blocchi a
piedistallo e altri modanati. I piedistalli fanno supporre statue innalzate su di essi. Sulle
chiavi di volta erano poi scolpite immagini ormai indecifrabili, probabilmente di divinità. Il
suo stato di conservazione è quasi perfetto in quanto anche il parapetto in marmo è
completamente integro.
Il legame tra ponti e pontifices, aventi mansioni sacre e profane, la grandezza di Roma
celebrata tra storia, religione e leggenda, il suo exemplum virtutis, speculum Populi Romani,
propugnaculum Imperii Romani, in opposizione alla barbarie e al degrado, fece dei ponti
l'ennesima glorificazione dell'Urbe quale esempio di meraviglia architettonica, estetica, di
opulenza, e di faro di luce per tutti i popoli.
Plinio il Vecchio già parlava dei ponti considerandoli tra i miracularia ed
enumerandoli tra le meraviglie di Roma. Infatti anche nei ponti l'architettura romana lasciò per
tutto l'impero un patrimonio grandioso, che per molti secoli, dopo la caduta dell'Impero, non fu
arricchito ma anzi devastato o almeno lasciato andare in rovina.
Solo nel medioevo, a partire dal XII sec., grazie alle confraternite dei Frates Pontifices,
religiosi il cui lavoro veniva pagato dai vescovi con le indulgenze, cioè sconto di peccati,
venne iniziato dai fratres la restaurazione dei ponti romani, e si ricominciarono a costruire i
ponti in legno. Il resto dell'arte e della civiltà erano andate perdute con la caduta
dell'impero.
I ponti di Roma sono stati imitati dai costruttori di tutte le moderne nazioni occidentali e
soprattutto dagli architetti dell'Italia, della Francia e della Spagna; come il Ponte-Viadotto
di Augusto a Narni (sorprendente costruzione di attraversamento imitata nei trattati
rinascimentali).
Ma pure il Pont-Julien a Bonnieux presso Apt e i ponti di Boisseron e di Sommières nella Gallia
Narbonensis, tutti modelli per l'Académie Royale d'Architecture; sia il Ponte di Salamanca e il
Ponte di Alcántara sul Tago in Spagna, ovvero lo spettacolare Ponte di Kâhta vicino all'Eufrate
in Turchia con un'arcata a pieno centro di ben m 34,20 di luce e una decorazione ancora quasi
intatta, o il vicino Ponte sul Singas con allineamento ad angolo retto, visto come opera
meravigliosa dai Bizantini e considerato nel mondo islamico una delle 4 meraviglie del mondo.