Resti Ponte Sublicio
Ponte Sublicio ieri
Ponte Sublicio oggi
















Ponte di Cesare sul Reno














ricostruzione Ponte Mangonza








Ponte Emilio o Ponte Rotto









Fondazione a pali
Fondazione a pali
Doppia paratia stagna


Graticcio



Tipologie di Rostri






Centine a sbalzo

Centine fisse




Resti Ponte di Traiano

Tipologie


Etruschi

Gli etruschi, prima dei Romani, conobbero il segreto della costruzione dell'arco, con cui si potevano fare porte cittadine, acquedotti ma soprattutto ponti. L'arte di costruire ponti era sacra da cui il termine Pontifex, facitore di ponti, da cui l'attuale termine cattolico Pontefice; se poi si trattava del mastro costruttore, si chiamò in epoca romana il Pontifex Maximus, la massima carica sacerdotale pagana da cui abbiamo tratto il Sommo Pontefice.
Roma fu del resto costruita nell'unico punto in cui era possibile unire con un ponte (il Ponte Sublicio) le due sponde del basso Tevere, un ponte facile da proteggere militarmente, e da qui dominava tutto il traffico fra l'Etruria e l'Italia meridionale. L'arte di costruire i ponti fu dunque etrusca ma ben presto divenne romana.
Ma solo quando l'Urbe riuscì ad avere il controllo della riva sinistra venne costruito questo ponte, il primo della città, per volere di re Anco Marzio, appunto presso vicino il guado del Tevere. Il Pons Sublicius (dal termine volsco sublica, tavola di legno) venne infatti eseguito interamente in legno per poter essere facilmente demolito in caso di attacco nemico.
E' il più antico ponte di Roma, realizzato in legno al tempo di Tullio Ostillio (.. - 641 a.c.) e terminato da Anco Marcio, (675 a.c. - 616 a.c.) secondo Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso. Un'altra versione narra che venne eretto da popolazioni abitanti la sponda destra del Tevere molti anni prima della presunta nascita di Roma, restaurato una prima volta da Ercole in persona ed una seconda nel 614 a.c. sotto il regno di Anco Marzio.


Romani

La principale preoccupazione dei Romani nella scelta del luogo dove costruire il ponte fu soprattutto di avere abbondante roccia a disposizione su cui fondare le spalle dei ponti ad evitare che piene o alluvioni potessero danneggiarli.
Poi si prevedeva la temporanea deviazione del corso d’acqua tramite un sistema di palizzate e dighe. Si procedeva, quindi, allo scavo per raggiungere il massiccio roccioso su cui fondare i piloni del futuro ponte. Dopodiché si alzava una struttura lignea dotata di una sagoma semicircolare; su di essa venivano appoggiati i conci, pietre squadrate con un opportuno taglio trapezoidale.
Si utilizzavano delle gru dotate di paranchi a vari rinvii per posizionare le pietre sulla centina di legno fino ad essere unite al centro dell’arco dalla cosiddetta “chiave di volta”, un concio solitamente più grande degli altri. A volte, le pietre venivano legate fra loro con della malta. Quando la centina di legno veniva rimossa, tutto il peso della struttura si scaricava sul terreno consentendole di sopportare enormi carichi.
Secondariamente, i ponti non venivano edificati dagli schiavi, perchè alla fine risultava più oneroso che non stipendiare liberi operai i quali non avevano bisogno di guardie per essere costretti al lavoro. Gli unici accidenti che potevano distruggere un ponte romano riguardavano assestamenti imprevisti del terreno, terremoti o eventi bellici. La guerra, infatti, a volte, comportava la necessità di distruggere un ponte onde tagliare la strada al nemico invasore.
I Romani per costruire un ponte innalzavano anzitutto le fondamenta su cui elevavano i piedritti, la loro grandezza dipendeva dall’arco che doveva sostenere e dalla spinta dell’acqua del fiume: più ampio era l’arco, più forte la spinta del fiume, più massicci dovevano essere i piedritti.
Prima di costruire l’arco, sopra i piedritti veniva appoggiato un sopporto di legno, cioè la centina, che serviva per appoggiare i conci, e che, alla fine della costruzione dell’arco, veniva rimossa.
Ma ciò che gli ingegneri romani non dimenticavano era pure ciò che rappresentavano nelle loro opere, e cioè Roma, che doveva quindi rappresentare il massimo della bravura, efficacia, bellezza, forza e opulenza, insomma ciò che doveva stupire il mondo, e ci riuscirono in pieno.


Ponti in legno

Allievi degli Etruschi nell'arte pontificia, i Romani divennero in breve i più grandi costruttori dell'antichità, prima per i ponti in Legno, di cui è storico il Ponte Sublicio, del 621 a.c., il più antico ponte ligneo di Roma, eseguito in epoca monarchica.
"XVII. Cesare, per le ragioni che ho ricordato, aveva stabilito di attraversare il Reno; ma giudicava che l'attraversamento con navi, oltre a non essere abbastanza sicuro, non si addiceva al suo decoro personale né a quello del popolo romano. Pertanto, nonostante le grandi difficoltà della costruzione di un ponte, considerata la larghezza, l'impetuosità e la profondità del fiume, tuttavia riteneva di dover affrontare questa sfida, anche a costo di rinunciare a trasferire l'esercito.
Concepì dunque il ponte in questo modo. Piedritti in legno dello spessore di un piede e mezzo, un poco appuntiti all'estremità inferiore e di altezza adeguata alla profondità del fiume, furono collegati a coppie tenendoli distanziati di due piedi. Questi, calati nel fiume con appositi attrezzi, furono messi in posizione e infissi con battipali, non verticalmente come le comuni palificate, ma inclinati secondo corrente; di fronte ad essi, quaranta piedi a valle, furono disposte coppie di piedritti analoghe, ma inclinate contro corrente.
Tra le opposte coppie di piedritti, in sommità, furono posti in opera trasversi dello spessore di due piedi, pari al distanziamento dei piedritti, e collegati a entrambe le estremità mediante coppie di caviglie; con questi trasversi che le distanziavano e le collegavano contemporaneamente, le strutture acquistavano una rigidezza e quanto più aumentava la spinta della corrente tanto più i dispositivi di collegamento si serravano.
Queste strutture furono poi collegate con travi longitudinali, sulle quali fu steso un impalcato di tavolame e graticci; inoltre altri pali obliqui furono infissi dal lato di valle, i quali, con la loro funzione di puntello intelaiato con le altre strutture, contribuivano a sostenere la spinta della corrente; altri pali ancora furono infissi poco a monte del ponte, a difesa da eventuali tronchi d'albero o altri natanti gettati dai nemici, per attutirne l'impatto ed evitare danni al ponte. XVIII. Nel giro di dieci giorni dall'inizio dell'approvvigionamento dei materiali da costruzione l'esercito potè passare sul ponte."
(Caio Giulio Cesare - De bello gallico - libro IV)


Ponti legno/pietra

Ma sono i ponti cosiddetti 'misti', cioè in legno e pietra, che offrono gli esempi più imponenti e straordinari di impalcature di legno del mondo romano. Ad esempio il Ponte sul Reno a Magonza, con campate di legno a travata reticolare di tipo "a centina poligonale a sbalzo", o il Ponte di Traiano sul Danubio, una meraviglia del genio romano, lungo 1135 m aveva 21 travate di legno con una luce di 32,56 m (ma di circa 50 m tra due interassi) imitando archi policentrici, di tipo "ad arconi sovrapposti", che poggiavano su 20 pile di muratura.
Ma ancor più strabiliante la sua copia quasi raddoppiata in lunghezza, ovvero il Ponte di Costantino sul Danubio presso Sucidava, lungo ben 2437 m, il ponte più lungo mai costruito dai Romani su un fiume. Questi ponti 'misti' presentavano una concezione e una messa in opera del tutto moderna, soprattutto per la presenza di archi di legno a traliccio di tipo piuttosto semplice, o per la messa in opera di grandi archi sovrapposti e assemblati tra loro da elementi radiali.


Ponti in pietra

Ma le esperienze tecniche e architettoniche più ardite e geniali realizzate dagli architetti e dagli ingegneri romani si esplicarono soprattutto nei ponti in muratura. Durante la repubblica infatti si cominciarono a sostituire le strutture lignee con quelle di pietra, come nel Ponte Emilio, 142 a.c., detto anche Ponte Rotto. Così il ponte poteva permettere senza rischio il passaggio dei carri con le provviste cibarie per città e villaggi, ma soprattutto dei carri ad uso da guerra.
Tenendo conto che spesso man mano che i soldati avanzavano in territorio nemico costruendo le strade, è evidente che le pietre del basolato dovevano essere trasportate sui carri, per non parlare di tende e pali da accampamento. Con l'Impero romano i ponti in pietra ebbero un grandioso sviluppo, perfezionandosi tecnicamente e architettonicamente. I più grandi architetti romani nell'arte pontificia, in pietra e non, furono Caius Iulius Lacer e Apollodoro di Damasco.
Gli archi, sempre a tutto sesto, aumentarono la luce da 5/20 m fino a 40 m e oltre, vedi arcata del ponte-viadotto di Narmi; i piloni vennero protetti da speroni per evitare che l'accelerazione dell'acqua in prossimità dei passaggi corrodesse l'alveo creando sprofondamenti, e talora esse furono anche alleggerite con aperture sopra il pelo dell'acqua (occhi da ponte) per aumentare la superficie di deflusso durante le piene, vedi Ponte Milvio a Roma o Ponte di Pietra a Verona.
Per le fondazioni, invece di deviare il corso del fiume come facevano prima, usarono l'impianto dei pali, come fece Cesare nella costruzione del Ponte sul Reno, e dei cassoni realizzati in luogo, riempiti di pietre o di calcestruzzo.


Tecniche


Etruschi

In quanto alla tecnica si usava anzitutto deviare il corso del fiume attraverso canali e chiuse, di cui gli Etruschi avevano già la massima esperienza, quindi si scavava e si ponevano fondamenta e pilastri. Su questo veniva poggiata un'incastellatura di legno ad arco, su cui venivano poste le pietre già rastremate a scalpello.
Per ultimo si poneva il cuneo, la pietra rastremata più grande di tutte che veniva inserita al centro esatto dell'arco, dopodiché l'incastellatura di legno poteva essere tolta e usata altrove. Il cuneo diventava così la chiave di volta e il peso dei muri si scaricava lungo i montanti permettendo all'arco di sopportare carichi enormi.


Romani

Quasi tutte le tecniche costruttive antiche sono state utilizzate nei ponti, dalle mura, a seconda della forma delle pietre dette: ciclopiche, poligonali, trapezoidali, all'opus quadratum, o opus incertum, quasi reticulatum, reticulatum, vittatum, testaceum, opus caementicium, e l'opera a sacco come riempimento del nucleo.
Ma non solo le tecniche erano diverse, ma anche i materiali, che a loro volta condizionarono la tecnica, le idee e i risultati.

Le fondazioni furono:

  • isolate o continue;
  • dirette o indirette;
  • con platea di fondazione parziale o generale.


  • le fondazioni in acqua furono:

  • con o senza prosciugamento,
  • con paratìe stagne semplici o doppie,
  • con cassoni stagni a doppia paratìa,
  • con cassoni ad immersione,
  • palificate a graticcio con funzione di cassoni;

  • Elementi dei ponti


    I Piedritti

    I piedritti dei ponti sono le pile, le spalle e le pile-spalle, tutte parti di sostegno che trasmettono alle fondazioni le spinte e i carichi generati dalla struttura: per evitare danni i piedritti sono spesso difesi da rostri: avambecchi o retrobecchi. La difesa e l'irrobustimento delle spalle erano ottenuti attraverso i muri di accompagnamento o attraverso i contrafforti a rinforzo dei muri di paramento delle spalle, con l'intento di contrastare efficacemente le spinte dell'arcata.


    I rostri

    A seconda della forma della pianta i rostri sono:

  • a pianta triangolare,
  • semicircolare,
  • arrotondata,
  • rettangolare,
  • trapezoidale,
  • ogivale,
  • con terminazione superiore piana,
  • con copertura a 'cappuccio'.
  • I rostri salgono generalmente fino al livello di inizio dell'arco, ma possono anche raggiungere il parapetto.
    Talvolta al posto dei rostri si posero:

  • pali guardiani o
  • scogliere di protezione ai pedi dei pilastri,
  • contrafforti che salgono a vari livelli a rinforzo e a difesa sia delle spalle, sia delle pile o delle pile-spalle.
  • In genere non si applicano rostri nei piedritti dei ponti-viadotti, come nel famoso Ponte-Viadotto di Nona, o nel Ponte-Viadotto di Augusto a Narni, o nel Ponte-Viadotto Ronaco a Sessa Aurunca, oppure nei ponti con intenso traffico fluviale, come, ad esempio, nei ponti posti sul fiume Aniene (Ponte Lucano, Ponte Mammolo, Ponte Salario, Ponte Nomentano), implicati in genere nel trasporto fluviale del travertino.


    L'arco

    L’arco fu una grande conquista tecnica per i romani, essenziale per realizzare non solo ponti, ma acquedotti, porte, archi di trionfo, teatri e ogni altro edificio pubblico. L’arco si sostiene utilizzando solo forze di pressione fra i massi, mentre un monolite posto orizzontalmente tra due pilastri è soggetto a forze compressive ed estensive verso il basso e, non avendo sostegno al di sotto, tende a spaccare il blocco. Quindi l'arco è in grado di sostenere pesi notevolmente superiori rispetto ad un architrave monolitico e può realizzare varchi molto più ampi.
    Nelle arcate le modalità delle volte sono diverse:

  • arco con volta in muratura,
  • con volta di pietra,
  • con volta di calcestruzzo,
  • con volta in laterizio.

  • Per la loro messa in opera i Romani usarono differenti strutture:

  • cèntine lignee a sbalzo,
  • fisse o semifisse,
  • poggiate in aggetto dei piedritti o sulla cornice d'imposta delle arcate,
  • ancorate in cavità o mensole.

  • Una volta tolte le centine dopo aver dato forma alle arcate, queste erano pronte a sostenere i timpani, cioè le parti di riempimento tra le arcate, e il piano di calpestìo. Si avevano così:

  • arcate rette o oblique,
  • con piani d'imposta paralleli
  • con piani d'imposta lievemente convergenti,
  • con piani d'imposta orizzontali,
  • con piani d'imposta obliqui,
  • con piani d'imposta inclinati.

  • Per quanto riguarda poi il sesto dell'arco, ci sono:

  • archi a tutto sesto,
  • con volta a botte,
  • a sesto ribassato,
  • a sesto rialzato, con volte policentriche,
  • con arcate ellittiche,
  • con arcate paraboliche
  • con arcate rampanti,
  • con arcate conoidiche,
  • arcate a botte lunettata,
  • arcate a sesto acuto,
  • arcate a sesto ogivale che troviamo per la prima volta nel Ponte protobizantino della Caverna Nera nell'Anatolia Centrale.

  • Le arcate erano:

  • con apparecchio diritto,
  • con apparecchio obliquo, come nel Ponte Fonnaia a Massa Martana in Umbria,
  • con apparecchio 'a più anelli retti, paralleli ed accostati', come nei ponti di Boisseron e di Sommières,
  • con apparecchio a più anelli retti, paralleli ed indipendenti', sia con interposizione di opera cementizia tra gli anelli come si può vedere nella rispettiva arcata del Ponte di Pont-Saint-Martin e del Ponte di Saint-Vincent in Valle d'Aosta, sia con lastre sovrapposte tra gli anelli come nel Ponte di El Kantara in Algeria.

  • Ponte di Traiano - ricostruzione

    Il ponte di Alconétar è l'unico esempio conservato di ponte di epoca romana costruito con valichi ad arco ribassato sul fiume Tago in Spagna
    I pochi resti sono stati spostati oggi a qualche distanza dall'attuale corso del fiume. La collocazione originale, nelle vicinanze di Cáceres, lo avrebbe esposto alla sommersione totale nel bacino della diga dell'Alcantara. La sua costruzione, datata all'inizio del II secolo, è stata attribuita ad Apollodoro di Damasco dato che il celebre architetto ha progettato, per ordine di Traiano durante la conquista della Dacia, il titanico ponte romano sul Danubio, una struttura mista con pile in muratura e archi ribassati e carreggiata in legno.
    L'impiego di archi a sesto ribassato lo renderebbe il più antico ponte superstite costruito con criteri che superavano i problemi posti dalla tradizionale tecnica romana dell'arcata a tutto sesto ripetuta. In realtà l'impiego delle arcate ribassate (secoli prima del ponte di Zhaozhou in Cina e del Ponte Vecchio in Europa) risolve uno dei problemi della tecnica tradizionale - le ripide rampe di accesso, come nel Ponte della Maddalena - ma con le sue 16 arcate, larghe da 6.7 a (congetturali) 10 metri, non risolveva affatto il problema dell'ostruzione del letto del fiume con un gran numero di pile, potenziale fonte di crolli in caso di piena. Le sole 4 arcate superstiti sono un muto testimone di questo pericolo. Questa tecnica fu in uso solo per un breve periodo in epoca romana, poi fu abbandonata. La ricostruzione del ponte lo vede lungo circa 300 metri e largo 6,5. Le pile avevano un profilo triangolare dal lato della corrente, e semicircolare a valle.
    Il ponte si trova oggi nel circondario di Garrovillas; deve essere crollato numerose volte, dato che mostra diverse fasi ricostruttive in epoca medioevale. La struttura presenta anche resti di un notevole apparato decorativo, come le tre cornici sovrapposte visibili su una delle pile superstiti. La decorazione doveva sottolineare l'importanza del valico di un fiume di grande dimensioni e rilievo commerciale e militare come il Tago.





    Ponte di Salamanca
    Ponte di Alcántara
    Ponte sulla Guadiana
    Ponte San Vito

















    Pont Abroix
    Ponte Verona
















    Ponte di Tiberio
    Ponte di Augusto









    I ponti sono:

  • con arcate a rotolo semplice simmetricamente caricato,
  • con arcate a due rotoli sovrapposti, successivi e concentrici come nel Ponte-Viadotto presso le Terme di Agnano in Campania,
  • con arcate a tre rotoli sovrapposti, come nel Ponte Catena a Cori, dove c'è un'arcata a 3 rotoli sovrapposti di cunei.

  • Riguardo alle funzioni:

  • ponti con una sola arcata costruita su modesti corsi d'acqua, o su rive a strapiombo o su precipizi, dai piedritti a pianta rettangolare in opera quadrata e dalle arcate a conci radiali, privi di ogni elemento decorativo, ma sobri e massicci, tipici della tarda età repubblicana.
  • ponti o ponti-viadotti ad arcate in serie continua (opus arcuatum)
  • con due o più arcate della medesima grandezza come nel Ponte di Salamanca,
  • arcate differenti come nel Ponte di Alcántara,
  • arcate distinte in più tronconi come nel Ponte sulla Guadiana a Mérida, dove sfruttando la presenza di un'isola, il ponte attraversa il fiume per mezzo di 60 arcate di pietra suddividendosi in 3 tronconi,
  • con una o più arcatelle sussidiarie, poste sulle spalle dei ponti, per scaricare i carichi e risparmiare materiali, servendo spesso per il passaggio di pedoni e carri,
  • ponti 'in pendenza' a più arcate,
  • ponti-viadotti a più arcate disposte su due o tre ordini sovrapposti, con arcate dette di controventamento, con sottostrutture,
  • ponti che si ispirano agli acquedotti, con sottostrutture,
  • ponti particolari costruiti su un braccio di mare, come quello 'marino' presso Torre Astura in provincia di Roma, tutte opere con sottostrutture, appoggi e arcate particolari.

  • A seconda del materiale si hanno archi in pietra da taglio, in mattoni, in muratura mista di mattoni e pietra da taglio, in getto di calcestruzzo semplice e armato, in ferro e in legno:

  • L'uso di archi in pietra da taglio è più antico e raro, data la difficoltà del taglio preciso dei singoli pezzi, o conci, in cui l'elemento di resistenza è dato dall'esatta conformazione dei conci, mentre la malta deve solo levigare il contatto dei giunti. I conci, o cunei, erano pietre tagliate a forma trapezoidale che formavano un elemento architettonico curvo che va a poggiare sui piedritti.
  • Gli archi in mattoni presentano grande praticità d'esecuzione e grande robustezza. I giunti in malta, disposti radialmente, hanno funzioni di collegamento e di cuneo. La forma parallelepipeda dei mattoni, quando non si adottino appositi mattoni trapezoidali, comporta, però, in ogni giunto uno spessore variabile dall'intradosso all'estradosso. Partendo da un minimo di 5 mm di malta, si può tollerare uno spessore dal giunto all'estradosso non superiore a 20 mm. La costruzione avviene simultaneamente a partire dai due piedritti verso il centro, dove l'arco viene chiuso con la chiave. In quasi tutti i casi, salvo per archi molto ribassati, gli elementi che formano le parti curve immediatamente superiori al piano d'imposta possono essere posti in opera senza gravare direttamente sulle centine, il loro equilibrio essendo garantito dal reciproco attrito e dall'adesione della malta.
  • Gli archi in calcestruzzo hanno un'armatura che assorbe gli sforzi di trazione, ed è economico, essendo il costo dei tondini di ferro largamente compensato dall'economia di calcestruzzo ottenibile con sezioni più snelle. Quando i romani affinarono le tecniche costruttive in opus caementicium vennero costruiti archi in opera laterizia, sicuramente più economici e veloci.

  • Le centine

    L’arco viene posto in opera utilizzando le cèntine, due strutture gemelle in travi di legno che vadano a sagomare fedelmente la linea dell'intradosso (la superficie inferiore dell'arco), utilizzando travi via via più piccole fino a creare una spezzata che riproduca la circonferenza dell'intradosso; le due strutture vengono quindi collegate tra loro da tavolette di legno che vanno a sagomare la superficie dell'intradosso, e sulle centine vengono quindi poggiati i conci dell’arco.
    Le centine venivano poggiate su degli speroni di travertino predisposti appena sotto la base dell’arco, poi veniva rimossa la centina bloccata dal peso della struttura inserendo nel sistema di sostegno della centina due cunei di legno sovrapposti in direzioni opposte in modo da realizzare un parallelepipedo; i cunei vengono bloccati per non farli scivolare; al momento del disarmo questi vengono fatti scivolare l'uno sull'altro aiutandosi con una mazza e liberando così la centina dal peso dell'arco.
    Occorre comunque effettuare il disarmo con attenzione ed in modo per quanto possibile graduale e simmetrico, in quanto togliendo la centina i conci, che poggiano ancora in buona parte sulla centina, e quindi verticalmente sul piedritto, si assesteranno definitivamente andando ad esercitare completamente la spinta laterale sui piedritti.


    Gli oculos

    I timpani, membrature di riempimento, e i muri di testa dei ponti, possono presentare sopra i piedritti 'occhi' o 'finestre' per aumentare il deflusso delle acque e lo scarico dei pesi:. Queste 'aperture' o 'vuoti di alleggerimento' erano rettangolari come nel Pont Ambroix o nel Ponte di Boisseron, o sormontati da un arco a tutto sesto come vediamo soprattutto a Roma e in Italia, o nel I sec. dell'impero in Francia (Pont-Julien presso Apt, Ponte di Sommières) e in Spagna (Ponte sulla Guadiana a Mérida, Ponte di Villa del Rio, Ponte di Luco de Jiloca).


    Cornici di coronamento

    Nel ponte di muratura ci sono poi le 'cornici di coronamento', in aggetto che indicano il livello del piano di calpestìo (e pertanto della carreggiata), in molti casi facenti parte dei marciapiedi, se non della carreggiata.
    Questa è simile alla massicciata stradale che giunge o esce dal ponte, con una pendenza o due contropendenze leggere, anche se abbiamo casi di ponti con il livello di calpestìo 'inflesso' o 'a catenaria', come nel Ponte Milvio a Roma o nel Ponte-Viadotto Ronaco a Suessa Aurunca.
    La larghezza del piano di calpestìo dei ponti romani era in genere di 5 m, per permettere l'incrocio di due veicoli carichi. In alcuni casi poi il piano di calpestìo presentava delle 'piazzuole di sosta o di smistamento' per i veicoli che si incrociavano.


    I parapetti

    Le cornici di coronamento sostengono quasi sempre i parapetti, che potevano essere:

  • in muratura (di pietra, di mattoni cotti, di calcestruzzo),
  • in forma traforata di transennae (di pietra, di metallo, di legno),
  • in forma di cancelli (di metallo o di legno).

  • Gli arredi

    I ponti romani, persero gradatamente l'austerità del periodo repubblicano per arricchirsi sempre più in epoca imperiale con arredi di pietra, di ferro, di bronzo e di marmo. Il ferro costituiva le grappe che fissavano i blocchi di pietra, o le statue ai parapetti e ai basamenti.
    I parapetti di travertino, traforati e non, si ornarono di cornici elaborate, di basamenti per statue, erme, are, colonne, piccole edicole, tempietti, colonnati, archi onorari all'entrata o all'uscita del ponte, con bassorilievi celebrativi, imperiali o dinastici, con simboli sacri o a carattere apotropaico e propiziatorio, oltre alle statue di imperatori, divinità o geni tutelari, ai simboli di Roma, come la lupa, l'aquila ecc., il tutto in marmo scolpito o in bronzo dorato, oltre alla targa commemorativa che riportava il committente, e talvolta anche l'ingegnere, e la data della dedica o inaugurazione.
    Un esempio di ciò è il ponte di Tiberio a Rimini, o ponte di Augusto, ormai in piedi da quasi 2000 anni e ancora in funzione piena, segno questo dell'incredibile perizia edile del popolo romano. Il ponte, pur chiamandosi "di Tiberio", fu progettato ed iniziato dal suo predecessore Augusto, a cui fu dedicato l'Arco detto appunto di Augusto che incorniciava l'inizio del decumano massimo di Rimini, mentre il ponte ne segnava la fine.
    Il ponte, privo di rostri, è formato da cinque arcate a tutto sesto in marmo istriano ed ha i piloni decorati da quattro finestre cieche rettangolari incorniciate e sormontate da un timpano.
    All'esterno del parapetto aveva un cornicione centinato, e sopra la parapetto alcuni blocchi a piedistallo e altri modanati. I piedistalli fanno supporre statue innalzate su di essi. Sulle chiavi di volta erano poi scolpite immagini ormai indecifrabili, probabilmente di divinità. Il suo stato di conservazione è quasi perfetto in quanto anche il parapetto in marmo è completamente integro.
    Il legame tra ponti e pontifices, aventi mansioni sacre e profane, la grandezza di Roma celebrata tra storia, religione e leggenda, il suo exemplum virtutis, speculum Populi Romani, propugnaculum Imperii Romani, in opposizione alla barbarie e al degrado, fece dei ponti l'ennesima glorificazione dell'Urbe quale esempio di meraviglia architettonica, estetica, di opulenza, e di faro di luce per tutti i popoli.

    I miracularia di Plinio il vecchio

    Plinio il Vecchio già parlava dei ponti considerandoli tra i miracularia ed enumerandoli tra le meraviglie di Roma. Infatti anche nei ponti l'architettura romana lasciò per tutto l'impero un patrimonio grandioso, che per molti secoli, dopo la caduta dell'Impero, non fu arricchito ma anzi devastato o almeno lasciato andare in rovina.
    Solo nel medioevo, a partire dal XII sec., grazie alle confraternite dei Frates Pontifices, religiosi il cui lavoro veniva pagato dai vescovi con le indulgenze, cioè sconto di peccati, venne iniziato dai fratres la restaurazione dei ponti romani, e si ricominciarono a costruire i ponti in legno. Il resto dell'arte e della civiltà erano andate perdute con la caduta dell'impero.
    I ponti di Roma sono stati imitati dai costruttori di tutte le moderne nazioni occidentali e soprattutto dagli architetti dell'Italia, della Francia e della Spagna; come il Ponte-Viadotto di Augusto a Narni (sorprendente costruzione di attraversamento imitata nei trattati rinascimentali).
    Ma pure il Pont-Julien a Bonnieux presso Apt e i ponti di Boisseron e di Sommières nella Gallia Narbonensis, tutti modelli per l'Académie Royale d'Architecture; sia il Ponte di Salamanca e il Ponte di Alcántara sul Tago in Spagna, ovvero lo spettacolare Ponte di Kâhta vicino all'Eufrate in Turchia con un'arcata a pieno centro di ben m 34,20 di luce e una decorazione ancora quasi intatta, o il vicino Ponte sul Singas con allineamento ad angolo retto, visto come opera meravigliosa dai Bizantini e considerato nel mondo islamico una delle 4 meraviglie del mondo.