La potenza di Roma
La legione romana (dal latino legio, derivato del verbo legere, "raccogliere
assieme", che all'inizio indicava l'intero esercito) era l'unità militare di base dell'esercito
romano. Nacque dalla trasformazione dell'esercito alto-repubblicano dal modello falangitico a
quello manipolare nel IV secolo a.C. L'esercito romano passò così dall'impiego del clipeus e
dell'hasta all'utilizzo dello scutum, del pilum e del gladius, che divennero le armi
fondamentali dei legionari romani, conformi del tutto al tipo di utilizzo imposto dalla tattica
bellica romana.
Grazie al grande successo militare della Repubblica e, in seguito, dell'Impero, la legione viene
considerata come il massimo modello antico di efficienza militare, sia sotto il profilo
dell'addestramento, sia dal punto di vista tattico e organizzativo. Altra chiave del successo
della legione era il morale dei soldati, consolidato dalla consapevolezza che ciascun uomo
doveva contare sull'appoggio del compagno, prevedendo la legione l'integrazione dei soldati in
un meccanismo complessivo di lavoro di squadra.
Era assimilabile a una grande unità complessa odierna, di rango variabile tra una brigata e una
divisione, ma soprattutto riuniva attorno a sé, oltre ai reparti dell'arma base, fanteria e
cavalleria, altri reparti specializzati come frombolieri, sagittarii, esploratori e genieri.
All'inizio autonoma sul piano logistico, era normalmente stanziata in una provincia, di cui
aveva la responsabilità della sicurezza e della difesa militare. Nella storia di Roma,
l'esercito poté contare su oltre 60 legioni (composte di 5 000÷6 000 armati) al termine della
guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio, e su un minimo di 28 agli inizi del principato
(ridotte a 25 dopo la disfatta di Teutoburgo). Nel passaggio dalla Repubblica al Principato, e
poi al Dominato, l'esercito, e con esso la struttura della legione (il cui numero di unità andò
riducendosi), venne ristrutturato profondamente.
Per tutta l'età regia di Roma l'esercito romano fu costituito da un'unica
legione, tanto da identificarsi con quest'ultima e viceversa.
La legione si disponeva su tre file, nella tipica formazione a falange, con la cavalleria ai
lati, chiamate alae.
Secondo la tradizione fu Romolo a creare sull'esempio della falange greca la
legione romana, inizialmente formata da 3 000 fanti (pedites) e 300 cavalieri (equites), scelti
tra la popolazione. Con l'inclusione del popolo Sabino, Romolo raddoppiò il volume delle
truppe, potendo così contare su 6 000 fanti e 600 cavalieri.
Fanti e cavalieri erano arruolati tra le tre tribù romane (1 000 fanti e 100 cavalieri ciascuna)
che formavano la primitiva popolazione di Roma: i Tities, i Ramnes e i Luceres. In epoca regia
era formata da cittadini compresi tra i 17 e i 46 anni, in grado di potersi permettere il costo
dell'armamento.
In età monarchica fu eseguita, secondo la tradizione da Servio Tullio, sesto re di Roma, una riforma timocratica che divise tutta la popolazione romana in cinque classi in base al censo (secondo altre fonti 6 classi), ognuna divisa a sua volta in tre categorie:
Se la prima classe, la più facoltosa, poteva permettersi l'equipaggiamento da
legionario (il
costo del tributo per gli armamenti veniva stabilito in base al censo), quelle inferiori
avevano armamenti via via più leggeri.
Il Rex era il comandante supremo dell'esercito romano, a cui spettava il compito di scioglierlo
al termine della campagna militare dell'anno. A lui erano subordinati tre tribuni militum,
ciascuno dei quali posto a capo di una delle tre tribù o file di 1 000 fanti; gli squadroni di
cavalleria erano invece sottoposti al comando di tribuni celerum.
Con la riforma serviana, vi fu un'importante novità: coloro i quali si erano distinti in
battaglia diventavano centurioni.
La legione si disponeva su tre file, nella tipica formazione a falange, con la cavalleria ai
lati, chiamate alae.
Con la riforma serviana dell'esercito romano, la prima classe risultava la più avanzata schiera
rispetto alle altre.
Effettuavano il combattimento in modo estremamente compatto, armati di lancia e spada, difesi da
scudo, elmo e corazza o da altre protezione pettorali. Dietro la prima classe, in battaglia era
posizionata la seconda, poi la terza classe che chiudeva lo schieramento. Quarta e quinta
classe costituivano la fanteria leggera che solitamente era disposta al di fuori dallo
schieramento.
A differenza delle successive formazioni legionarie, composte esclusivamente di
fanteria pesante, le legioni della prima e media età repubblicana consistevano di fanteria sia
leggera che pesante.
Il termine esercito manipolare, cioè un esercito basato su unità chiamate manipoli (dal latino:
manipulus, «quanto può stare nel palmo di una mano»), è pertanto utilizzato in contrapposizione
con il successivo esercito legionario del tardo periodo repubblicano e alto imperiale,
incentrato, invece, su un sistema di unità chiamate coorti.
L'esercito manipolare si basava in parte sul sistema di classi sociali e in parte sull'età e
sull'esperienza militare; rappresentava quindi un compromesso teorico tra il precedente
modello basato interamente sulle classi e gli eserciti degli anni che ne erano indipendenti.
Stando alla storiografia latina, si deve l'introduzione del manipolo come
elemento tattico a Marco Furio Camillo durante il periodo del suo quarto tribunato
consolare.
L'unità costituì l'elemento fondamentale della legione romana dalle battaglie contro Equi e
Volsci, vinte da Furio Camillo, fino alla Seconda guerra punica.
br
Le principali configurazioni sono:
La legione veniva generalmente schierata su tre file, dette triplex acies, alle quali si aggiungevano i fanti leggeri, detti leves, per un totale che varia tra i 4200 e i 5000 effettivi a seconda del periodo:
Questa differenziazione esisteva, oltre che sulla base dell'esperienza dei
soldati, anche sulla base del censo, tanto che ogni soldato era tenuto a provvedere
autonomamente all'equipaggiamento.
Tra i fanti, i più "benestanti" erano i triarii, che potevano permettersi l'equipaggiamento più
completo e pesante, mentre gli accensi erano i più poveri, presi dalla quarta classe di
cittadini, secondo l'ordinamento censitario di Servio Tullio.
Tra il 107 a.C. e il 104 a.C. il console romano Gaio Mario portò avanti un
programma di riforme dell'esercito romano, al fine di dare la possibilità a tutti i cittadini di
arruolarsi, indipendentemente dal benessere e dalla classe sociale.Questa sua iniziativa
formalizzava e concludeva un processo, sviluppatosi per secoli, di graduale rimozione dei
requisiti patrimoniali per l'accesso al servizio militare, permettendo così alla Repubblica di
avere un esercito più numeroso della media dell'epoca.
La legione romana dopo la Riforma mariana dell'esercito romano
La distinzione tra hastati, principes e triarii, che già era andata assottigliandosi, era
ufficialmente rimossa, e fu creata quella che, nell'immaginario popolare, è la fanteria
legionaria: un'unità omogenea di fanteria pesante.
La fanteria leggera di cittadini dalle classi meno abbienti, come i velites, fu sostituita dalle
auxilia, cioè delle truppe ausiliarie che potevano consistere anche di mercenari stranieri.
L'organizzazione interna subiva inoltre un cambiamento fondamentale: il manipolo perse ogni
funzione tattica in battaglia e fu sostituito in modo permanente dalle coorti, sull'esempio di
ciò che era già stato anticipato da Scipione l'Africano un secolo prima.
Numerate da I a X, ogni coorte era formata da tre manipoli oppure da sei centurie, per un totale
di 3.840 fanti.
Con la riforma manipolare descritta da Livio e da Polibio, la cavalleria legionaria tornò a
disporre di 300 cavalieri, divisi in dieci squadroni, a capo di ognuno dei quali erano
posti tre comandanti, i decurioni, organizzati verticalmente.
Con la riforma mariana dell'esercito romano la cavalleria legionaria venne sostituita da
speciali corpi di truppe ausiliarie o alleate a supporto e complemento della nuova legione
romana.
Il costante contatto con Celti e Germani durante la conquista della Gallia indusse Gaio Giulio
Cesare a rivalutare il corpo della cavalleria, tanto che ne fece un impiego crescente negli
anni, reintroducendo unità di cavalleria permanente accanto a quelle fanteria e a quella
ausiliaria.
Fondamentale novità del periodo relativo alla legione manipolare, dovendosi condurre campagne
militari sempre più lontane dalla città di Roma, vide il proprio gruppo di genieri costretti a
trovare nuove soluzioni difensive adatte al pernottamento in territori spesso ostili. Ciò
indusse i Romani a creare, sembra a partire dalle guerre pirriche, un primo esempio di
accampamento militare da marcia fortificato, per proteggere le armate romane al suo interno.
Altro apporto del genio fu la costruzione di strade militari, utilizzate inizialmente per
migliorare e velocizzare gli spostamenti delle armate ed in seguito dalla stessa popolazione
civile dopo che l'area era stata pacificata.
A partire dalle guerre pirriche furono mossi i primi importanti assedi ad opera dei Romani, tra
cui l'assedio di Lilibeo,che comportò per la prima volta l'attuazione di tecniche d'assedio
complesse.
Cesare apportò nel settore dell'ingegneria militare innovazioni determinanti, con la
realizzazione di opere sorprendenti costruite con grande perizia e in tempi rapidissimi, come il
ponte sul Reno o la rampa d'assedio costruita durante l'assedio di Avarico.
Il cursus honorum prevedeva che nessuno potesse intraprendere la carriera politica senza aver
prestato almeno 10 anni di servizio militare.
Ogni manipolo era comandato da un centurione, il più importante dei quali era il primus pilus
(primipilo), comandante dei triarii, uno dei pochi a servirsi del cavallo durante la marcia. Il
primus pilus veniva scelto tra i soldati più coraggiosi ed esperti.
Il comando della legione era affidato al legatus, un magistrato facente le veci dei consoli nel
comando di una specifica legione. Secondo nella gerarchia era un tribuno esperto, il tribuno
laticlavio (in latino: tribunus laticlavius'), coadiuvato da altri cinque tribuni angusticlavi
(dal latino angustum, «più stretto, in riferimento alla striscia purpurea ridotta degli
equestri»). In assenza di tribuni, il comando era affidato al praefectus castrorum.
La "spina dorsale" dell'esercito romano rimase la legione, in numero di 28 (25
dopo Teutoburgo).
Ogni legione era composta di circa 5 000 cittadini, in prevalenza Italici (attorno al 65%,
per lo più provenienti dalla Gallia Cisalpina, rispetto a un 35% di provinciali, muniti
anch'essi di cittadinanza romana), per un totale di circa 140 000 uomini (e poi circa 125 000),
che si rinnovavano con una media di 12 000 armati all'anno. L'ufficiale a capo della legione
divenne ora un membro dell'ordine senatorio con il titolo legatus Augusti legionis. Le legioni
erano arruolate fra i circa 4 000 000 di cittadini romani.
È con Ottaviano Augusto, in un periodo compreso tra il 30 a.C. e il 14 a.C., che la legione
cambiò struttura, aumentando i suoi effettivi fino almeno a 5 000 soldati, essenzialmente fanti
ma anche cavalieri (120 per legione, comandati da centurioni, non da decurioni), questi
ultimi con funzioni di esplorazione, messaggeri o scorta del legatus legionis. La cavalleria
legionaria, abolita nell'epoca di Gaio Mario, fu reintrodotta in modo definitivo da Augusto. Si
trattava però di una forza alquanto ridotta, i cui cavalieri erano dotati di uno scudo più
piccolo e rotondo (detto parma o clipeus), come ci racconta Giuseppe Flavio, al tempo della
prima guerra giudaica. Potrebbe essere stata, infine, abolita da Traiano.
La fanteria legionaria era divisa in 10 coorti (di cui nove di 480 armati ciascuna), che al loro
interno contavano 3 manipoli oppure 6 centurie. La riforma della prima coorte avvenne in un
periodo imprecisato, sicuramente tra l'epoca di Augusto e quella dei Flavi. Si
trattava di una coorte milliare, vale a dire di dimensioni doppie rispetto alle altre nove
coorti, con 5 centurie (non 6) di un numero doppio di armati (160 ciascuna), pari a 800
legionari complessivi, ed a cui era affidata l'aquila della legione.
Sempre ad Augusto si deve l'introdurre un esercito di professionisti che rimanessero in servizio
non meno di sedici anni per i legionari, portati a venti nel 5 (come era successo fin
dai tempi di Polibio, in caso di massima crisi), e venti-venticinque per le truppe
ausiliarie. A questo periodo di servizio poteva subentrarne uno ulteriore di alcuni anni tra le
"riserve" di veterani, in numero di 500 per legione (sotto il comando di un curator
veteranorum).
Tiberio dispose che l'acquartieramento delle legioni lungo il limes acquisisse le
caratteristiche di una maggiore permanenza e stabilità, tanto che i terrapieni, rinforzati con
una palizzata in legno, diventassero sempre più massicci, mentre gli alloggiamenti più
confortevoli, mentre in rari casi sembra che alcuni accampamenti legionari siano stati costruiti
in pietra (come ad Argentoratae e Vindonissa);
Al tempo di Vespasiano sembra si attuò la riforma della prima coorte, che secondo alcuni
studiosi moderni potrebbe essere invece avvenuta all'epoca di Augusto. Si trattava di
una coorte milliare, vale a dire di dimensioni doppie rispetto alle altre nove coorti, con 5
manipoli (non quindi 6) di 160 armati ciascuno (pari a 800 legionari), a cui era affidata
l'aquila della legione. Primo esempio di costruzioni che ospitassero una coorte di queste
dimensioni lo si trova nella fortezza legionaria di Inchtuthill in Scozia.
Al tempo delle guerre marcomanniche fu l'utilizzo da parte di Marco Aurelio di vexillationes, al
fine di comporre un esercito di invasione e poi di occupazione della neo-provincia di
Marcomannia, come testimoniano numerose iscrizioni, tra cui quella rinvenuta a Leugaricio, delle
legioni I Adiutrix e II Adiutrix.
La cavalleria legionaria, abolita nell'epoca di Gaio Mario, fu reintrodotta da Augusto. Si
trattava però di una forza alquanto ridotta, composta di soli 120 cavalieri (comandati da
centurioni, non da decurioni; dotati di uno scudo più piccolo e rotondo, detto parma o
clipeus), come ci racconta Giuseppe Flavio, al tempo della prima guerra giudaica.
Potrebbe essere stata abolita, almeno per un breve periodo di tempo dall'imperatore Traiano,
considerando che viene citata in un discorso del suo successore, Adriano. In questo periodo
esistevano, infatti, numerosi reparti di cavalleria ausiliaria (formata da provinciali e
alleati, i cosiddetti peregrini), quale degno completamento tattico e strategico alla fanteria
legionaria (formata invece da cittadini romani).
Si trattava di unità altamente specializzate, arruolate in aree territoriali di antiche
tradizioni, come segue:
In età alto-imperiale venne riorganizzato anche il reparto di tecnici e ingegneri
militari atti a rendere più agevole il cammino delle armate romane durante le campagne militari
o la loro permanenza negli alloggiamenti estivi (castra aestiva) ed invernali (hiberna). E così
se le strade romane potevano essere utilizzate per velocizzare lo schieramento degli eserciti
durante le operazioni di "polizia" lungo i confini imperiali, alcuni tipi di ponti potevano
essere montati e smontati velocemente senza l'utilizzo di chiodi: in questo modo i legionari,
che trasportavano un equipaggiamento di circa 40 chili (comprendente anche un palo per la
palizzata del campo) potevano percorrere nella marcia circa 24 chilometri al giorno (40 quando
potevano viaggiare più leggeri). In altri casi si provvedeva alla costruzione di strade in
zone acquitrinose (pontes longi), come avvenne in Germania durante il periodo della sua
occupazione (dal 12 a.C. al 9 d.C.).
L'artiglieria romana comprendeva baliste (ogni legione ne aveva 55, servite ciascuna da 11
uomini), ossia grandi balestre montate su ruote, che grazie alla torsione delle loro corde
riuscivano a scaraventare anche a molti metri di distanza enormi dardi, che potevano essere
anche incendiati. Insieme alle baliste c'erano anche gli "scorpioni", simili alle precedenti ma
molto più piccoli e maneggevoli. Insieme alle baliste venivano schierati anche gli onagri
(catapulte chiamate così per il rinculo che producevano durante il lancio), che lanciavano massi
ricoperti di pece, cui si appiccava il fuoco, creando vere "bombe incendiarie", con lo scopo di
abbattere le difese nemiche, distruggendo mura ed edifici.
Settimio Severo avviò importanti riforme militari che toccarono numerosi aspetti dell'esercito romano e che costituirono le basi del successivo sistema fondato sugli imperatori militari del III secolo. Creò la prima forma di autocrazia militare, togliendo potere al Senato dopo aver messo a morte numerosi membri dello stesso. Sebbene la struttura base della legione continuò ad essere quella della riforma augustea, il numero delle legioni venne aumentato di un 10% e portato a 33 (con la creazione delle legioni I, II e III Parthica). Egli favorì i legionari in svariati modi:
Non è chiaro se sia stato l'imperatore Gallieno ad aumentare il contingente di
cavalleria interno alla legione stessa, portandolo da soli 120 cavalieri a 726 (pari a 22
turmae), o i suoi successori, gli imperatori illirici, come una parte della storiografia moderna
sembra sostenere. La verità è che la nuova unità di cavalleria legionaria risultava divisa
tra le dieci coorti legionarie, dove alla prima coorte erano affiancati 132 cavalieri (4
turmae), mentre alle altre nove 66 ciascuna (2 turmae per ciascune delle nove coorti). Questo
incremento della cavalleria fu dovuto proprio alla necessità di avere un esercito sempre più
"mobile" e versatile nel corso del III secolo, come conseguenza delle continue
invasioni, sia da parte dei barbari lungo i confini settentrionali, sia a causa della crescente
minaccia orientale, dove alla dinastia dei Parti Arsacidi subentrò (dal 224) quella dei
Sasanidi, assai più bellicosa e che intendeva replicare ai fasti dell'antico Impero
achemenide.
Gallieno promosse il rafforzamento delle vexillationes equitum, i reparti mobili a cavallo, in
particolare svincolando la cavalleria dal controllo dei governatori provinciali e collocandola
in alcuni centri strategici come Mediolanum (Milano). Promossa o meno da Gallieno, si assistette
al consolidamento delle forze di uomini a cavallo, detti Equites promoti (con base nella già
citata Milano) formati da unità reclutate nell'Illirico (dalmatae), in Nord Africa (mauri) e in
aggiunta da forze d'élite (scutarii), sempre svincolati dalla legione, non è chiaro se preposte
all'intervento come forza d'emergenza nel caso di invasione ("riserva mobile"). Queste
forze insieme erano definite Equites illyriciani o vexillatio. L'importanza di questa nuova
organizzazione crebbe a tal punto che chi guidava queste unità di cavalleria poteva aspirare a
ruoli di maggiore prestigio e addirittura a proclamarsi imperatore (si pensi a Claudio il Gotico
e Aureliano). Con Gallieno, inoltre, si completava la fine delle responsabilità militari
dell'ordine senatorio a tutto vantaggio dell'ordine equestre, procedimento iniziato sotto
Settimio Severo e che portò all'abolizione della figura del legatus Augusti pro praetore di
rango pretorio. Con un editto infatti l'imperatore abrogò l'accesso dei senatori alla legazione
di legione.
La cavalleria legionaria di questo periodo appare divisa ancora in turmae e guidata da
decurioni. In battaglia, il decurione era affiancato dal draconarius, portatore dell'insegna del
draco (simbolo di nuova introduzione per le coorti e le unità di cavalleria, di derivazione
dacico-sarmatica), e seguito da un calo (lo schiavo del decurione che montava il suo cavallo di
riserva).
Premesso ciò, al tempo di Alessandro Severo, aumentò il ricorso sempre più frequente ad unità
ausiliarie di arcieri montati (tra osroeni, palmireni ed emesiani), integrati nei numeri di
cavalieri dalmati e mauri, operativi già nel II secolo; oltre a cavalieri in particolar modo
quelli corazzati (i cosiddetti catafrattari, clibanarii), reclutati sia in Oriente, sia tra i
Sarmati, ma anche di quelli "leggeri" provenienti dalla Mauretania.
Catafratti tra i sarmati Roxolani che combatterono contro Traiano durante la conquista della
Dacia degli anni 101-106.
Le prime unità di catafratti erano state, infatti, create da Adriano. A partire da questo
periodo si cominciò a fare ricorso ad unità di contarii, truppe armate di contus, ad imitazione
dello stile di combattimento aggressivo tipico di sarmati e iazigi, fondato sulla carica
diretta. Già all'inizio del 69 unità sarmatiche erano state assoldate per presidiare la
frontiera in Mesia, anche se tali truppe erano sospettate di essere facilmente
corruttibili. Una delle prime unità di contarii fu l'Ala I Ulpia contariorum militaria, di
stanza nella vicina Pannonia inferiore, costituita successivamente alla campagna dacica di
Traiano. Questi cavalieri non avevano elmo o armatura, ma erano muniti solo di lancia.
Il successore di Alessandro Severo, Massimino il Trace, promosse la barbarizzazione
dell'esercito romano, essendo lo stesso Imperatore nato senza la cittadinanza romana,
ed aumentò l'importanza della cavalleria di origine germanica e catafratta sarmatica, arruolata
dopo aver battuto queste popolazioni durante le guerre del 235-238. L'aumento degli
effettivi della cavalleria, non solo andava ad accentuare la caratteristica di maggior mobilità
dell'esercito romano, costituendone una nuova "riserva strategica" interna (insieme alla legio
II Parthica, formata in precedenza da Settimio Severo), ma anche quella di tradursi in un
esercito meno di "confine o sbarramento" che ne aveva caratterizzato il periodo precedente fin
dai tempi di Adriano.
Questo processo di graduale incremento di reparti di cavalleria, potrebbe aver generato una
maggiore "mobilità" anche nella legione stessa, che culminò con la riforma di Gallieno. Di fatto
la cavalleria andava a costituire una sorta di "nuova riserva strategica" collocata nelle
retrovie, in aggiunta alla legio II Parthica. L'esercito iniziava a tradursi in una forza meno
stanziale, non più puramente di "confine o sbarramento", come era stato per i due secoli
precedenti, in cui era apparsa legata in prima istanza alle forze di fanteria e in misura
ridotta a quelle montate.
Ad Alessandro Severo si deve un crescente utilizzo presso tutte le fortezze del limes di nuovi
modelli di catapulte (ballistae, onagri e scorpiones), al fine di tenere impegnato il nemico
fino all'accorrere delle "riserve strategiche" (concetto iniziato con Settimio Severo,
sviluppato da Gallieno, Diocleziano e Costantino I.
Con Gallieno, che di fatto abolì le cariche senatoriali all'interno dell'esercito romano e, di
conseguenza, anche all'interno della legione stessa (le cariche di tribunus laticlavius e
legatus legionis scomparvero), la gerarchia subì una parziale modifica almeno nella parte
concernente l'alto comando. Ciò potrebbe essere spiegato anche tenendo conto del fatto che il
ceto senatorio era ormai disabituato a ricoprire responsabilità militari e appariva sguarnito
delle competenze idonee a condurre gli eserciti. Questo punto della riforma, però, eliminò
definitivamente ogni legame tra le legioni e l'Italia, poiché i nuovi comandanti, che erano
spesso militari di carriera partiti dai gradi più bassi e arrivati a quelli più alti, erano
interessati solo al proprio tornaconto o al massimo agli interessi della provincia d'origine, ma
non a Roma. Il resto del corpo di truppa, degli ufficiali e sotto-ufficiali rimase pressoché
invariato:
La vera grande riforma militare di Diocleziano fu soprattutto di tipo
politico. Il nuovo imperatore dispose, prima di tutto, una divisione del sommo potere
imperiale, dapprima attraverso una diarchia (due Augusti, a partire dal 285/286) e poi tramite
una tetrarchia (nel 293, tramite l'aggiunta di due Cesari), compiendo così una prima vera
"rivoluzione" sull'intera struttura organizzativa dell'esercito romano dai tempi di Augusto.
Questa forma di governo a quattro, se da un lato non fu così felice nella trasmissione dei
poteri (vedi successiva guerra civile), ebbe tuttavia il grande merito di fronteggiare con
tempestività i pericoli esterni al mondo romano. La presenza di due Augusti e due Cesari
facilitava, infatti, la rapidità dell'intervento armato e riduceva i pericoli che la prolungata
assenza di un unico sovrano poteva arrecare alla stabilità dell'Impero.
Diocleziano creò una vera e propria gerarchia militare sin dalle più alte cariche statali,
quelle dei "quattro" Imperatori, dove il più alto in grado era l'Augusto Iovio (protetto da
Giove), assistito da un secondo Augusto Herculio (protetto da un semidio, Ercole), a cui si
aggiungevano i due rispettivi Cesari,ovvero i "successori designati".
In sostanza si trattava di un sistema politico-militare che permetteva di dividere meglio i
compiti di difesa del confine: ogni tetrarca, infatti, curava un singolo settore strategico e la
sua sede amministrativa era il più possibile vicino alle frontiere che doveva controllare
(Augusta Treverorum e Mediolanum-Aquileia in Occidente; Sirmium e Nicomedia in Oriente), in
questo modo era possibile stroncare rapidamente i tentativi di incursione dei barbari, evitando
che diventassero catastrofiche invasioni come quelle che si erano verificate nel III secolo.
Diocleziano riorganizzò l'esercito, trasformando la "riserva mobile" introdotta da Gallieno
(formata di sola cavalleria) in un vero e proprio "esercito mobile" detto comitatus, distinto
dalle forze poste ai confini, probabilmente costituito da due vexillationes (Promoti e Comites)
e da tre legiones (Herculiani, Ioviani e Lanciarii).
Non sembra vi fossero particolari cambiamenti interni alla struttura della legione. Ciò che
cominciò, invece, a delinearsi con maggiore frequenza, fu il costante invio di vexillationes (di
1 000-2 000 legionari) da parte della "legione madre" (attraverso la suddivisione di unità più
antiche) che, sempre più spesso, non fecero più ritorno. La legione però rimaneva ancora
legata al territorio, alla provincia di appartenenza, anche se essa andò perdendo di
consistenza, passando dai circa 6 000 componenti dell'età alto-imperiale, ai 5 000 dell'età
dioclezianea e ai 3 000 di quella valentiniana. I principali motivi furono determinati
dalle situazioni contingenti del momento:
Diocleziano comprese quale importanza ora rivestissero le forze di cavalleria. Egli, infatti, trasformò la "riserva strategica mobile" introdotta da Gallieno (di sola cavalleria) in un vero e proprio "esercito mobile" detto comitatus, nettamente distinto da un "esercito di confine". Qui nel comitatus, costituito da due vexillationes di cavalleria (tra Promoti e Comites), e tre legiones (Herculiani, Ioviani e Lanciarii), ebbero ancora grande importanza le forze di cavalleria (vexillationes), che, ricordiamo, al tempo di Gallieno ne costituirono l'intera "riserva strategica mobile"
Una volta divenuto unico augusto, subito dopo la sconfitta definitiva di Licinio
nel 324, Costantino I avviò una nuova riforma dell'esercito romano. Il percorso che egli
compì, fu però graduale nel corso degli ultimi tredici anni di regno (dal 324 al 337, anno della
sua morte), continuando poi con i suoi figli. Suddivise, prima di tutto, l'"esercito mobile" in
"centrale" (unità palatinae) e "periferico" (unità comitatenses), contemporaneamente
rovesciò l'assetto complessivo dell'apparato bellico romano tetrarchico, continuando ad
espandere la componente mobile, a vantaggio di quella di frontiera.
In genere le unità palatinae costituivano l'esercito dedicato a un'intera prefettura del
Pretorio, mentre le unità comitatenses costituivano l'esercito dedicato a una singola diocesi
nell'ambito della prefettura. Analogamente conferì all'"esercito di confine" una connotazione
più peculiare: le unità che lo costituivano furono definite limitanee (stanziate lungo i limes)
e riparienses (operanti lungo i fiumi Reno e Danubio) (in epoca teodosiana alcune di esse furono
rinominate pseudocomitatenses quando trasferite nell'"esercito mobile").
In sintesi si può così riassumere la nuova organizzazione delle unità militari, classificandola
in tre differenti tipologie, ognuna delle quali era a sua volta divisibile in sotto-unità, come
segue:
In aggiunta, va precisato che si rese necessario un crescente reclutamento obbligatorio dei barbari (chiamati laeti), già inquadrati nei numeri sin dall'epoca di Marco Aurelio, stanziati all'interno dell'Impero con l'obbiettivo di ripopolare alcuni territori abbandonati o falcidiati dalle pestilenze. In virtù dell'ereditarietà dei mestieri decisa da Diocleziano, si impose ai figli di ex militari la ferma obbligatoria, anche se però questi godevano di privilegi dovuti alla carriera dei propri padri. Con il passare dei secoli l'ingresso nell'impero di gruppi barbari fu visto come l'occasione per acquisire nuove reclute. L'esercito, quindi, svolse un grande ruolo nella romanizzazione dei barbari (costituendo praticamente l'unico modo per conquistare un ruolo sociale di rilievo), garantendo un'integrazione talmente forte da consentire di intraprendere la stessa carriera dei colleghi romani.
Si trattava delle seguenti legiones:
Costantino introdusse, quindi, nell'"esercito mobile" un nuovo tipo di unità (in
aggiunta alle legiones e alle vexillationes): gli auxilia palatina, eredi delle unità
ausiliarie, che dopo la constitutio antoniniana di Caracalla (212) erano state integrate nel
tessuto imperiale. In particolare gli auxilia palatina erano costituite da circa 500 fanti,
generalmente con armamento leggero, più versatili delle legiones ed impiegabili anche in azioni
di guerriglia e rastrellamento. Conseguentemente nel tardo impero la distinzione tra legiones e
auxilia divenne tecnico-tattica, più che basata sulla cittadinanza dei combattenti che vi
militavano. Le legioni, infatti, risultavano meno flessibili ed erano dotate di
un'organizzazione migliore rispetto a quella delle auxilia, oltre ad essere armate in modo "più
pesante".
Vi è, infine, da aggiungere che nel 365, il nuovo imperatore Valentiniano I (Augustus senior
presso Mediolanum), spartì con il fratello minore Valente (Augustus iunior presso
Costantinopoli) tutte le unità militari dell'Impero (comprese quindi le legiones), le quali
furono attribuite all'uno o all'altro in parti uguali (quelle di 1 000 armati) oppure divise in
due metà (quelle con un numero di legionari ancora di consistenza superiore ai 2 000 armati)
dette rispettivamente "senior" (assegnate a Valentiniano I) e "iunior" (assegnate a Valente).
Con la riforma costantiniana post 324, sembra che i reparti di cavalleria legionaria siano stati
pressoché aboliti a vantaggio di nuove unità di cavalleria specializzata, denominate
vexillationes. Si trattava di unità utilizzate all'interno del comitatus. L'abolizione
della cavalleria interna alla legione, fu un processo lungo iniziato dalla riforma di Gallieno
(o degli imperatori illirici), quando la cavalleria andò lentamente separandosi dalla fanteria
legionaria, divenendo di fatto indipendente proprio sotto Costantino I (324-337) e cessando così
di esistere come corpo aggregato alla legione romana.
Le vessillazioni in quest'epoca designavano, non più i distaccamenti legionari alto imperiali,
ma reparti di sola cavalleria. Le vexillationes equitum andarono incontro a un progressivo
consolidamento nell'organico e nel numero di distaccamenti, tanto da far pensare
all'assegnazione di una nuova funzione strategica alle unità di cavalleria. Con la riforma di
Costantino e dei suoi figli, le vessillazioni divennero unità alla base dell'organizzazione
delle forze montate: le vexillationes palatinae e quelle comitatentes erano nominalmente formate
da 300 o 600 uomini. La Notitia dignitatum elenca in quest'epoca ben 88 vessillazioni.
La cavalleria poteva essere leggera o pesante a seconda dell'armamento o della pesantezza
dell'armatura. Esistevano gli equites sagittarii, arcieri a cavallo di derivazione orientale,
partica o barbarica, la cavalleria leggera d'avanguardia (mauri, dalmatae, cetrati), e la
cavalleria pesante dei catafractarii attrezzati di lance e muniti di pesanti armature squamate e
o di lorica manica, di derivazione sarmatica, partica o palmirena. Soprattutto in Oriente,
se si registra la presenza di ben 19 unità di catafratti secondo la Notitia Dignitatum, una
delle quali era una schola, reggimento di guardie a cavallo imperiale. Tutte queste unità,
tranne due, appartenneo al Comitatus, con una minoranza tra i Comitatensi palatini, mentre ci fu
solo un'unità militare di arcieri catafratti.
I corpi di cavalleria erano integrati tanto nelle legioni comitatensi, quanto in quelle
limitanee, eredi o delle vecchie alae di cavalleria ausiliaria o degli equites illyriciani o dei
clibanarii già operanti in epoca alto-imperiale.
«Venivano in ordine sparso i corazzieri a cavallo, chiamati di solito "clibanari", i quali
erano forniti di visiere e rivestiti di piastre sul torace. Fasce di ferro avvolgevano le
loro membra tanto che si sarebbero creduti statue scolpite da Prassitele, non uomini. Erano
coperti da sottili lamine di ferro disposte per tutte le membra ed adatte ai movimenti del
corpo, di modo che qualsiasi movimento fossero costretti a compiere, la corazzatura si
piegasse per effetto delle giunture ben connesse.»
(Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri, XVI, 10, 8)
Unità d'élite erano le scholae, istituite all'inizio del IV secolo per opera di Costantino I a
seguito dello scioglimento dell'antica Guardia pretoriana, e divise tra gentiles e scutarii.
Ogni schola era comandata inizialmente da un tribuno, poi successivamente al V secolo da un
comes scholarorum, che aveva sotto il suo diretto commando un certo numero di ufficiali anziani
detti domestici o protectores. Se all'inizio de IV secolo erano elencate tre unità, nel V
secolo la Notitia dignitatum elenca sette scholae nella parte orientale dell'Impero e cinque in
quella occidentale.
Se al vertice di una delle armate, almeno fino a Onorio e Arcadio, si collocava l'imperatore in
persona (il quale poteva delegare gli altri eserciti ad Augusti e Cesari), ai grandi
immediatamente inferiori erano preposti i magistri militum, tutti comites rei militaris in
quanto parte dell'entourage imperiale. Essi erano:
Sotto di loro i magistri militum regionali, per la cavalleria e per la fanteria.
Alle dipendenze di questi ultimi vi erano i comites, i conti, distinti da quelli suindicati per
essere assegnati al comando di regioni secondarie o considerate più sicure.
Ai gradi immediatamente inferiori i duces, distribuiti uno per ogni provincia (a cui erano
affidate truppe di limitanei, comprendenti anche le legiones limitanae), e sottoposti
all'autorità del comes territoriale. Il prepositus, invece, poteva apparire alle dipendenze del
dux, oppure poteva identificare un grado di comandante di cavalleria o di una specifica unità di
appiedati. Sopravvivono in quest'epoca infine, per i quadri dell'esercito, i tribuni, agli
ordini di un prefetto e divisi in due grandi categorie: comandanti di unità e comandanti
superiori. Altri potevano essere addetti a svariate altre funzioni (dalla fabbricazione delle
armi, al comando di unità della flotta ecc).
Con la fine della guerra civile (nel 324) e la dinastia costantiniana le "vecchie" vexillationes
legionarie vennero trasformate in nuove legioni indipendenti dalla legione "madre", riducendo il
numero di armati fino a 1.200 uomini (come risulta da alcuni passi di Ammiano Marcellino, a
proposito della battaglia di Strasburgo del 357 e di Amida del 359, e in Zosimo).
San Gerolamo in un passo aiuta a ricostruire quella che doveva essere la gerarchia per gli
ufficiali subalterni in quest'epoca. Essa doveva prevedere:
Per quanto riguarda la truppa, se si fa riferimento alla gerarchia gerolamiana, vi erano nell'ordine il biarchus, il circitor, l'eques (il cavaliere) e il tiro. A questa economia vanno aggiunti il pedes, il fante, e il semissalis, collocato tra il cavaliere e il circitor. Va ricordato che a ciascun grado più alto, pur trattandosi di soldati, corrispondeva una paga più alta. Di conseguenza avremmo trovato:
In seguito alla sconfitta di Adrianopoli, l'Impero dovette venire a patti con i
vittoriosi Goti, concedendo loro di stanziarsi nei Balcani come foederati semi-autonomi: essi
mantennero il loro stile di vita e la loro organizzazione tribale stanziandosi in territorio
romano come esercito alleato dei romani. Oltre ai Visigoti, che alla fine ottennero, dopo molte
altre battaglie contro l'Impero, la concessione dall'imperatore Onorio di fondare un regno
federato in Aquitania (418), altri popoli come Vandali, Alani, Svevi e Burgundi (che entrarono
all'interno dei confini dell'Impero nel 406) ottennero, grazie alle sconfitte militari inflitte
all'impero, il permesso imperiale di stanziarsi all'interno dei confini.
Le devastazioni dovute alle invasioni e le perdite territoriali determinarono una costante
diminuzione del gettito fiscale con conseguente progressivo indebolimento dell'esercito: un
esercito professionale come quello romano, infatti, per essere mantenuto efficiente, aveva
bisogno di essere pagato e equipaggiato, e le ristrettezze economiche dovute al crollo del
gettito fiscale portarono ovviamente a un declino progressivo delle capacità di addestramento,
arruolamento, dell'organizzazione logistica e della qualità dei rifornimenti in armi e derrate
ai soldati (si spiegano in questo senso le sempre più crudeli minacce ai cittadini contenute
nelle leggi del periodo in caso di mancato versamento dei tributi). Da un'attenta analisi
della Notitia Dignitatum, si può ricavare che quasi la metà dell'esercito campale
romano-occidentale andò distrutto nel corso delle invasioni del 405-420, e che le perdite furono
solo in parte colmate con l'arruolamento di nuovi soldati, mentre molte delle ricostituite unità
erano semplicemente unità di limitanei promossi a comitatenses, con conseguente declino delle
potenzialità militari con riferimento sia alla consistenza meramente quantitativa delle truppe
che sotto il profilo della qualità.
La perdita dell'Africa ebbe riverberi inevitabili e seri sulle finanze dello stato, indebolendo
ulteriormente l'esercito (attorno al 444). Le perdite subite portarono all'ammissione in
grosse quantità di ausiliari e foederati germanici (ad esempio Unni): ciò poteva portare
benefici a breve termine, ma era deleterio a lungo termine, in quanto diminuiva gli investimenti
nel rafforzamento delle unità regolari.
Nel tardo impero l'esercito, per difendere i confini imperiali dalla crescente pressione
barbarica, non potendo contare su reclute insignite di cittadinanza, a causa sia del calo
demografico all'interno dei confini dell'Impero, sia della resistenza alle
coscrizioni, ricorse sempre di più a contingenti di gentiles (fino a una vera deriva
"mercenaristica"), utilizzati dapprima come mercenari a fianco delle unità regolari tardo
imperiali (legiones, vexillationes e auxilia), ed in seguito, in forme sempre più ingenti e
diffuse, come alleati che conservavano le loro tradizioni e le loro usanze belliche. Il
risultato fu un esercito romano nel nome, ma sempre più culturalmente estraneo alla società che
era chiamato a proteggere.
Vegezio, autore di un manuale di strategia militare redatto tra la fine del IV secolo e la prima
metà del V secolo, si lamentò per l'imbarbarimento progressivo dell'esercito romano, il quale,
cominciando a combattere alla maniera barbarica, perse il suo tradizionale vantaggio nella
superiore disciplina e strategia militare; lo stesso Vegezio si lamentò per il fatto che
l'imperatore Graziano avesse permesso ai suoi fanti, probabilmente di origini barbariche, di non
indossare più elmo e armature, esponendoli maggiormente alle armi nemiche e portando come
nefasta conseguenza a diverse sconfitte contro gli arcieri goti. Vegezio lamentò poi che
non si costruissero più accampamenti e riferisce le conseguenze nefaste di questa scelta.
Sempre Vegezio lamentava poi che i proprietari terrieri, non intendendo perdere manodopera,
escogitavano diversi espedienti pur di non fornire soldati all'esercito, ricorrendo anche alla
corruzione degli ufficiali reclutatori: ciò fece sì che, invece di reclutare gente idonea al
combattimento, venissero reclutati pescatori, pasticcieri, tessitori ed altre professioni
ritenute non idonee da Vegezio. La soluzione di Vegezio era tornare all'antico modo di
combattere, alla "maniera romana", abbandonando il modo di combattere "alla barbara" introdotto
dal sempre più crescente arruolamento di Barbari; in Occidente, tuttavia, per diverse ragioni,
non si riuscì a invertire questa tendenza, portando alla sua rovina.
Da alcune fonti letterarie del tempo si può evincere che il termine "ausiliario" divenne a poco
a poco sinonimo di "soldato", così come lo fu nei secoli precedenti il termine "legionario", il
che sta ad indicare una fase di progressiva smobilitazione delle antiche unità legionarie in
favore di quelle ausiliarie. In una seconda ed ultima fase, l'esercito romano avrebbe perso
definitivamente la sua identità, quando probabilmente anche la maggior parte degli auxilia
palatina furono rimpiazzate da federati.
Intorno al 460 l'esercito romano, e di conseguenza le legiones, dovevano apparire solo l'ombra
di sé stesse, con i territori ridotti ormai alla sola Italia o poco più. Nonostante tutto,
secondo alcuni studiosi, l'esercito romano rimase efficiente fino ad almeno a Maggioriano
(461). Sotto Ezio e Maggioriano, l'Impero sembra fosse ancora in grado di affrontare e
vincere in battaglia Visigoti, Burgundi, Bagaudi, Franchi, mantenendo sotto il suo controllo la
Gallia, a riprova di una sua relativa efficienza. Solo con l'uccisione di Maggioriano
cominciò il definitivo declino, a causa della rivolta dell'esercito delle Gallie che portò alla
formazione di uno stato secessionista in Gallia settentrionale, il Dominio di Soissons.
Privato dell'esercito delle Gallie, ed essendosi ridotti i territori gallici sotto il controllo
del governo centrale alle sole Provenza e Alvernia, l'impero non fu più in grado di difendere
queste province con il solo ricorso all'esercito d'Italia. Nel 476 le armate sollevate da
Odoacre contro il magister militum Flavio Oreste e l'ultimo imperatore in Italia, Romolo
Augusto, erano costituite unicamente da alleati germanici, perlopiù Sciri ed Eruli.
Tuttavia l'assetto generale dell'esercito romano tardo-imperiale, e alcune sue unità,
sopravvissero almeno fino al VI secolo in seno alla Pars Orientis. Teofilatto Simocatta
attesta, ancora a fine VI secolo, l'esistenza della Legio IV Parthica, anche se all'epoca le
legioni erano quasi del tutto scomparse, sostituite da reggimenti di circa 500 soldati
denominati numeri (in latino) o arithmoi (in greco).